La produzione mondiale di alluminio dal 2000 al 2022
L’utilizzo di alluminio nel mondo è in costante crescita, sostanzialmente di pari passo con la produzione di metallo primario, che si sta progressivamente spostando verso Oriente, con l’aumento del numero di produttori.
Il quadro della produzione mondiale di alluminio primario, che nel 2021 ha fatto registrare il record di oltre 67 milioni di tonnellate prodotte, è cambiato profondamente negli ultimi vent’anni. Il ruolo della Cina è cresciuto in modo straordinario, passando da meno di 3 milioni di tonnellate nel 2000 a oltre 38 milioni di tonnellate nel 2021, andando a coprire quasi il 60% della produzione mondiale.
È aumentata, in pratica raddoppiando anche la quota degli altri paesi asiatici e dei paesi del Golfo, in crescita pure l’Africa, lieve calo in Oceania, forte calo in America, mentre l’Europa mostra una condizione a due facce, con il tracollo della produzione di alluminio in Unione Europea e la crescita nell’Est del vecchio continente.
Nel contesto generale, emerge senza dubbio l’impennata della Cina, evidente frutto di una precisa strategia industriale sostenuta da sussidi governativi e politiche monetarie e commerciali predisposte allo scopo. Il risultato è che le aziende produttrici cinesi sono cresciute in modo esponenziale diventano leader mondiali della produzione di alluminio.
La produzione di alluminio in Europa
La quota percentuale di produzione di alluminio primario dei paesi europei, UE più resto Europa, è scesa nel contesto mondiale dal 30% del 2000, con 7,5 milioni di tonnellate su un totale di quasi 25 milioni, al 12% circa del 2021, con 7,3 milioni stimati.
Già nel 2017, con un output in Europa di 7,8 milioni di tonnellate, oltre il 70% del primario impiegato era prodotto al di fuori del nostro vecchio continente. Il declino è stato peraltro particolarmente grave nell’Unione Europea, specialmente negli ultimi anni.
Dal 2005, la produzione di alluminio primario è infatti passata da 3,2 milioni di tonnellate/anno a poco meno di 2 milioni; da tempo alcuni Paesi già produttori, come l’Italia, il Regno Unito e i Paesi Bassi, avevano cessato definitivamente la produzione, principalmente come conseguenza degli alti costi energetici.
All’inizio del 2020 nell’UE erano in funzione solo 13 smelter, vale a dire che dal 2000 quasi venti impianti erano stati chiusi e nel 2021 diversi altri smelter dell’UE annunciavano tagli o la sospensione della produzione, con un calo stimato del 18-20% rispetto al 2020.
Si sottolineano differenti situazioni rilevanti:
- - In ottobre 2021, l’unico smelter olandese annunciava la riduzione della produzione per il 60-70%, almeno fino all’inizio del 2022, a causa degli alti prezzi del gas;
- - Nello stesso periodo, un produttore di alluminio in Slovacchia annunciava tagli produttivi di oltre il 10% sulla scia della forte crescita dei prezzi dell’elettricità, dei prezzi record delle quote di emissione e dell’insufficiente compensazione da parte dello Stato;
- - Pochi mesi dopo, un’azienda statunitense dichiarava di voler interrompere la produzione di alluminio primario in uno stabilimento spagnolo per due o tre anni;
- - Contemporaneamente, viene ridotta la produzione del più grande smelter d’Europa, sempre a causa degli alti costi dell’energia.
È dello stesso periodo la chiusura dell’unico smelter del Montenegro, la riduzione del 50% del programma produttivo previsto da un’importante azienda slovena, mentre per il principale smelter rumeno si annunciava una significativa riduzione del programma produttivo previsto per il 2022.
Le ragioni principali della pressione finanziaria sugli smelter di alluminio in UE e dei tagli o chiusure forzate della produzione, sono naturalmente gli alti prezzi dell’energia in Europa, ma pesano anche altri fattori come:
- - L’alto costo del lavoro;
- - La mancanza di una seria strategia industriale a monte;
- - Il crollo degli investimenti;
- - L’aumentata pressione da parte di una severa legislazione ambientale.
Questa situazione molto seria viene finalmente valutata in tutta la sua drammaticità per gli scenari futuri anche da istituzioni del settore che invece di difendere l’intera filiera dell’alluminio in UE si sono sempre schierate a favore delle potenti multinazionali, o forse è meglio dire di alcuni top-manager delle stesse.
A questo punto non possiamo che sottolineare per l’ennesima volta l’assoluta irragionevolezza, incoerenza e gravità per la competitività della filiera completa dell’alluminio in Europa di mantenere in vita il dazio all’importazione del metallo grezzo in UE. La cancellazione di questa misura non è certamente la risposta a tutte le esigenze del settore, ma è evidentissimo che questo dazio dell’Unione Europea su una materia prima di cui c’è grave deficit domestico non risponde ai principi per cui fu immaginato tanti decenni fa, perché non ha assolutamente protetto l’industria del primario del vecchio continente. D’altra parte, questa tariffa è stata molto efficiente nel danneggiare con un extracosto di oltre 1 miliardo di euro l’anno le trasformazioni, le lavorazioni a valle, le fonderie getti e gli utilizzatori finali, come dire oltre il 90% della filiera del metallo leggero in UE.
Un insuccesso e un grave danno, eppure questo indiscutibile errore strategico per l’industria e il manifatturiero del nostro vecchio continente è ancora lì, uno spettro tariffario che è freno alla competitività del downstream.
L’importanza dell’alluminio verde russo per il downstream UE
Mantenere i fornitori chiave di metallo per il mercato globale è di fondamentale importanza. L’eventuale esclusione dei grandi produttori russi dal consueto sistema di trading del metallo leggero, come proposto da taluni operatori del mercato, avrebbe senza dubbio pesantissime conseguenze di tipo quantitativo e qualitativo per un gran numero di aziende in UE, un’area come abbiamo visto deficitaria per oltre l’80% dei propri fabbisogni di alluminio primario.
Una situazione simile si era già osservata nel 2018, durante il periodo delle sanzioni imposte dal presidente statunitense Trump sui produttori russi (e cancellate dopo una breve e infelice applicazione), che determinò grave destabilizzazione sulla catena globale d’impiego dell’alluminio, con un aumento immediato dei prezzi dei prodotti in metallo leggero e sue leghe intorno al 30% nel mondo, e in particolare in Europa.
Se si dovesse verificare questa situazione oggi, in combinazione con gli elevati costi dell’elettricità e l’alta inflazione in alcune importanti aree, si metterebbero severamente a rischio in Unione Europea trasformazioni, lavorazioni, finiture, applicazioni finali di ogni genere dell’alluminio, dall’automotive, all’edilizia, all’elettrotecnica, all’imballaggio, solo per citare i segmenti più noti.
Nell’ottica dell’altrettanto noto percorso di ecosostenibilità che l’UE si è giustamente impegnata a perseguire, è evidente che l’impossibilità di avere alluminio primario competitivo a basse emissioni di carbonio come quello russo obbligherebbe i consumatori a utilizzare altre fonti di approvvigionamento e molti sarebbero costretti a concentrarsi sull’acquisto di alluminio primario con un’impronta di carbonio più elevata, come è il caso di molte produzioni asiatiche.
Con l’introduzione del meccanismo di compensazione del carbonio alle frontiere, gli extracosti per i trasformatori e gli utilizzatori a valle dell’Unione sarebbero una catastrofe. In sostanza, come da tempo sostengono tutti gli analisti, la limitazione all’accesso dell’alluminio russo interromperebbe le attuali dinamiche di mercato, provocherebbe aumenti dei prezzi, volatilità e creerebbe interruzioni alla catena di approvvigionamento dell’alluminio in tutto il mondo.
Senza dubbio ciò riguarderà in particolare le migliaia di PMI del settore downstream europeo dell’alluminio che, già penalizzato da decenni sul pari accesso alla materia prima, dovrà perdere ulteriore competitività concorrenziale rispetto ai produttori asiatici di semilavorati, getti di fonderia, parti, componenti e prodotti in lega leggera, essendo privato di una fonte affidabile qualitativa ed ecosostenibile di alluminio.
Gli analisti sono in sostanza concordi nel ricordare che la presenza dei fornitori di volume e di qualità russi gioca un effetto stabilizzante sul mercato e un ruolo difficilmente sostituibile per la filiera dell’alluminio in UE.
Guardando agli interessi dell’intera filiera del metallo leggero in Unione Europea, un’area come ben noto a rischio per l’approvvigionamento competitivo e a pari livello del metallo grezzo, sarebbe un vero e proprio suicidio in un momento molto delicato del mercato accettare forzature sul mercato che, a vantaggio dei bilanci di alcune grandi aziende e degli stipendi di alcuni grandi manager, comporterebbero distorsioni, speculazioni, aumento dei prezzi, perdita di competitività per la filiera e gravi rischi per le aziende a valle e di trasformazione lavorazione e impiego dell’alluminio in UE.
Fonte: A&L Aluminium Alloys Pressure Diecasting Foundry Tecniques